sabato 7 settembre 2013

CALCIOMERCATO- LE SPESE FOLLI, IL FAIR-PLAY E PLATINI: E SE SON LORO A FARE GLI "ITALIANI"?




CALCIOMERCATO2013- E' finito il calciomercato estivo. Alleluja, Alleluja. E c'è chi (non certo noi) già attende con ansia i primi di novembre, quando l'odore di castagne e i colori dell'autunno accompagnano le prime voci incontrollate e i primi abbozzi di trattativa, mentre il "tifoso" già sogna di poter rimediare (o migliorare) la classifica della propria squadra grazie all'acquisto di qualche utile pedina. E nel frattempo, chissà quanti allenatori saranno stati esonerati. Quanti "Zamparini di tutto il mondo" avranno dato il benservito al proprio tecnico, nonostante i buoni propositi di inizio stagione accompagnati dall'immancabile frase del "progetto a lunga scadenza".
 

Ma il mercato è una malattia. Giornali e programmi tv ne parlano a tutte le ore del giorno e della notte per un trimestre, quando, fondamentalmente, i colpi si registrano prevalentemente nei venti giorni susseguenti alla fine dei campionati (e quindi già definiti durante lo svolgimento degli stessi), e nell'ultima giornata disponibile, quella che è capace di regalarti un Wenger spendaccione come non mai e uno Scharner che, alla pur non veneranda età di 33 anni, decide di smetterla con il calcio giocato piuttosto che restare a marcire in panchina ad Amburgo. E a luglio e ad agosto, cosa fanno i dirigenti? Mare, tanta gnocca, per alcuni magari il "Palio di Siena", mentre giornali, radio, tv, blogger (mettiamoci dentro pure noi, va) e siti internet inondano di notizie l'appassionato della dea "Eupalla", che, pur senza rotolare, è capace d'ammaliare e rendere insonni le notti dei tifosi. 

Si sono spesi tanti soldi in questa tornata, con la Premier a farla da padrona assoluta: le squadre inglesi, infatti, hanno speso la bellezza di 765 milioni, a fronte di entrate pari a 275 milioni, di cui quasi 100 riconducibili all'affare dell'estate, il passaggio di Bale dal Tottenham al Real Madrid. Le squadre italiane, come da tradizione, sono al secondo posto con una spesa di 410 milioni, ma gli incassi, pari a 412 milioni, dimostrano come le compagini della massima serie tricolore siano diventate molto più oculate di un tempo, complice anche la minor capacità di spesa. A farla da padrona nella voce incassi, invece, è la Liga: le squadre spagnole hanno incassato ben 510 milioni, a fronte di una spesa - prevalentemente dovuta agli acquisti faraonici di Real (in primis) e Barça - di  poco superiore ai 400 milioni. Il miglior attivo, però, spetta ad un campionato a noi lontano, ma comunque affascinante e, da sempre, ricco di talenti: il Brasileirao, con un +185 di tutto rispetto, è nettamente in testa a questa speciale classifica, mentre fra le europee a dominare la scena è l'Eredivisie, con un saldo positivo di oltre 110 milioni. 

Dati che certificano definitivamente, quindi, un'inversione di tendenza in atto da diversi anni: gli "italiani", ovvero coloro che spendono in maniera scriteriata valanghe di soldi sul mercato, sono diventati loro. Ma "loro" chi? In primis verrebbe da scrivere gli inglesi, che non hanno mai speso così tanti soldi come in questa tornata. La Premier, per la dodicesima volta negli ultimi tredici anni, è il torneo dove si registra lo sbilancio più alto fra acquisti e cessioni, anche se, a fare da contraltare, ci sono i floridi incassi derivanti dai diritti tv e dal merchandising che, però, compensano solo in parte lo squilibrio. Tuttavia, tali entrate non bastano a coprire le esose spese a cui vanno incontro almeno il 70% della squadre dalla Premier League, spesso aiutate da robuste iniezioni di liquidità da parte dei patron arabi, russi, pakistani e, in passato, finanche thailandesi . Per non parlare del fantomatico "levarage buyout", tecnica d'acquisto che, a nostro avviso, andrebbe messa al bando dal mondo del calcio e, forse, dello sport in generale: indebitarsi per acquistare un club (vedasi il caso "Glazer-Man Utd"), è un male peggiore degli acquisti "cash" messi in atto dei vari nababbi russi e arabi, in quanto falsa all'ennesima potenza la regolarità di un torneo.

I casi più eclatanti di questa sessione, però, arrivano dalla vicina Francia, dove l'avvento in pompa magna di sceicchi e magnati del gas ha completamente ribaltato il ruolo delle principali squadre transalpine: da prede a cacciatrici. Per la prima volta nella storia, infatti, la Ligue1 chiude con sbilancio di oltre 150 milioni, con le "note spendaccione" PSG e Monaco accompagnate, nel silenzio più assoluto, dal Marsiglia, che presenta un rosso di oltre 40 milioni come mai fatto registrare nella sua storia (anche se Tapie, negli anni 90, spese in proporzione anche di più). E se in Germania il saldo passivo è decisamente accettabile (- 57 milioni, con il Bayern negativo di 21) e le big - come da tradizione teutonica - sono state decisamente attente a non fare il passo più lungo della gamba, la Spagna ha saputo fare ancora meglio, registrando addirittura un record storico: il mercato si è chiuso con un saldo positivo di oltre 100 milioni. 

La crisi economica spagnola - ancora più feroce di quella in corso nello stivale - ha fatto decisamente la sua parte, e basta scorrere i robusti saldi positivi di Siviglia, Valencia, Atletico Madrid, Malaga e Real Sociedad, quasi tutte compagini ancora fortemente indebitate nonostante le corpose entrate economiche estive, per capire che in terra iberica è finita l'epoca delle vacche grasse. Per tutti? Certo che no. Real e Barça, ovvero le due storiche rivali di sempre, forse le squadre con il maggior numero di tifosi sparsi per il mondo, continuano nella corsa alle spese folli, con le merengues in particolare spolvero. La squadra di Perez, dopo lo scorso mercato chiuso praticamente in pareggio, grazie al quale ha potuto abbassare l'indebitamento finanziario sotto la soglia dei 100 milioni (prima volta dopo svariati anni) ed ottenere un profitto netto decisamente migliore rispetto alle ultime stagioni, ha pensato bene di spendere una cifra folle per garantirsi Bale ed ha presentato un saldo negativo di quasi settanta milioni. Il tutto avviene, non dimentichiamocelo, nonostante le Merengues presentino un significativo debito nei confronti di Bankia, istituto di credito salvato un anno e mezzo fa grazie all'intervento dell'Unione Europea, e quindi indirettamente dai cittadini (contribuenti) della vecchia Europa, che ancora oggi naviga in acque tutt'altro che tranquille.

E in Italia? Il passivo più elevato lo registra l'Inter (-22 milioni), mentre tutte le altre presentano saldi positivi oppure, in taluni casi, negativi di importo decisamente contenuto. Inversione di tendenza? Sicuramente sì, anche se il modello tedesco, il migliore per rapporto "risultati-bilanci-incassi", è ancora lontano. Quello che emerge da questa sessione, è il cambio di filosofia adottato dai nostri club: quasi tutti, infatti, spendono in proporzione a quanto incassano, principio evocato nel famoso "fair-play finanziario". Resta da capire se siamo di fronte ad un fuoco di paglia oppure, come in molti sperano, ad un radicale cambiamento di mentalità, mentre nell'ombra, in maniera sempre più silente, tanto da far pensare ad alcuni che sia ormai imminente una proroga o una definitiva abrogazione dello stesso, avanza lo spettro del tanto temuto e amato, poc'anzi citato, fair-play finanziario. La sua entrata in vigore, nelle intenzioni del paffuto presidente Uefa, dovrebbe risolvere parecchi problemi, creando una sorta di "sana" e "moralmente corretta" competizione fra le squadre, costrette a spendere solo quanto realmente incassano. Peccato che, come dimostrato dalla "sponsorizzazione-monstre" dello stadio del Manchester City, le possibilità di aggirare le futuri norme sono infinite e, fra l'altro, di facile applicazione. Forse, ma il dubbio è forte, qualche difficoltà in più la potrebbero trovare i club che si finanziano tramite l'indebitamento (il già citato "levarage buyout"), ma ci vuol dire "Le Roy" come si possono limitare eventuali ingenti immissioni di liquidità tramite le sovvenzioni di sponsor amici o - come nel caso del Manchester City - direttamente riconducibili alla proprietà? Ed eventuali indebitamenti a titolo personale di qualche folle presidente (in Italia ne abbiamo avuti diversi in passato), volti ad andare ad incrementare le capacità di spesa del proprio club, come potrebbero essere fermati? L'amara realtà è una sola: Fifa e Uefa, come tutte le aziende del mondo, non vogliono guadagnare di meno. Il fantomatico fair-play, salvo improbabili stravolgimenti da qui alla sua entrata in vigore, si rivelerà una bufala: vincerà, come avvenuto quasi sempre negli ultimi trent'anni, chi metterà sul piatto più soldi. E su quello stesso piatto, poi, mangerà anche chi, apparentemente mosso dal nobile intento di fare giustizia nel mondo del calcio, s'è inventato questa norma. 

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